

Al centro dell’inchiesta c’è K., una donna che lavorava nel governo: da una località segreta, con l’identità protetta da un’iniziale come cognome, sta disegnando il quadro di come Zuma attraverso le rete degli agenti ai suoi ordini, controllasse tutto, dagli affari agli appalti pubblici.
Le sue parole sono state così pesanti da portare la Corte Costituzionale a emettere un ordine esecutivo: “Signor Jacob Gedleyihlekisa Zuma, lei deve andare dal giudice e rispondere”, a meno di una imprescindibile ragione. Non presentandosi, lei farà “un atto contro all’ordine costituzionale”. “Nel nostro sistema giuridico nessuno è superiore alla legge”, è la sostanza del messaggio inviato dai giudici all’ex capo di Stato.
Secondo le accuse Zuma, eletto del 2008 a capo dell’African National Congress, con uno dei suoi uomini più fidati comincia a ridisegnare la rete di spie al servizio del governo, e una parallela, nuova: entrambe rispondono direttamente a lui e alla sua cerchia più ristretta. L’anno seguente, quando diventa presidente del Sudafrica, le due reti entrano in azione, indirizzando costantemente denaro pubblico a fini privati. La commissione sta cercando di capire a quanto ammontano le cifre sottratte allo Stato e quelle ottenute illecitamente, ma è difficile quantificare.
Il personaggio
Nei nomi si nasconde l’identità. Gedleyihlekisa, secondo nome di Zuma, significa “un uomo che ti sorride mentre ti colpisce”. Intimazioni, minacce, e-mail, telefoni sotto controllo erano il pane: il potere di Zuma è stato assoluto, e ancora è pervasivo. Secondo i giudici che indagano sul “State Capture” (il nome dell’inchiesta) i suoi uomini armati erano pronti a destabilizzare il Paese “attraverso membri del governo”. Zuma – nato da una domestica e un poliziotto, senza vera istruzione – ha basato il suo potere anche sulla costante sottolineatura dell’etnicità, delle differenze fra bianchi e neri nel Paese: una bomba ad orologeria sempre innescata.
Ronnie Kasrils, tre anni più vecchio, ex ministro prima dell’elezione di Zuma, lo conosce dai tempi dell’esilio durante il regime dell’apartheid. Lo ritrae come un personaggio “ingannevole, manipolatorio, furbo, abile, perfido”. La gente lo ama e lui gongola dicendo di sé: “Sono il presidente del popolo”.
Nelson Mandela è un monumento. Il suo successore, Thabo Mbeki, defenestrato da Zuma, è il pensione. Ora Cyril Ramaphosa, delfino del leader ai tempi di Mandela, trent’anni nel business, tornato in politica, ha fatto fuori Zuma. Ma lui resta potentissimo.
Fonte: Repubblica